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Inserito il:
09/07/2014
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Degustiamo
Lassù, oltre le nuvole, storie di latte e di neve – Maisonnettes
Lassù, oltre le nuvole, storie di latte e di neve in Valle d'Aosta, un viaggio alla scoperta della vita d'alpeggio.

Piove. La salita ai 1816 metri di Maisonnettes è stata tutto sommato tranquilla. Si scarica tutto ma solo quando la credenza della nonna trova nuovamente il suo posto all’alpe e, con molta pazienza, Milva e Nicole la riempiono di tutto quello che per i prossimi 100 giorni servirà loro, la stagione dell’alpeggio si può dire che abbia ufficialmente inizio.
In bella vista le scodelle di smalto blu con la caffettiera e la zuccheriera osservano la scena, di lì a poco detteranno i tempi della giornata con la vecchia sveglia dall’inconfondibile tic tac e con lo scoppiettio dei pezzi di abete nella stufa, un tempo lento ma consumato, vissuto, secondo dopo secondo. La vita in alpeggio è cambiata negli anni ma a parte qualche comodità in più i sacrifici sono gli stessi di sempre. Incurante della meteo lassù il binomio uomo-animale e territorio si fa unico: mucche, cani e pastori condividono ogni raggio di sole come ogni goccia di pioggia o ogni non raro fiocco di neve.
Attilio Yeuilla praticamente vive di questo; nella stalla a Vertosan quest’anno hanno trovato posto 84 bovine (40 sono sue le restanti date in affido da altri proprietari del fondovalle), tutte rigorosamente di pezzata rossa e nera, saranno loro il motore di questa “piccola officina d’alta quota”. Un mondo affascinante che nelle parole del racconto di Attilio diventa, fiaba, romanzo, poesia.
La scelta di intervistare Attilio in fondo è stata facile; vincitore dell’edizione del Concorso Fontina d’Alpeggio 2013, un serio e profondo conoscitore del mondo bovino valdostano ma ancor più del latte e dei suoi derivati, un casaro d’esperienza, di quelli che con poche parole ti aprono le porte di un mondo che pochi conoscono e che fortunatamente esiste ancora.
Attilio, come è cambiata la vita in alpeggio e in poche parole cosa vuol dire “alpeggio”?
Vivo con le mucche praticamente da sempre, i tempi cambiano è vero ma il fascino di questi mesi passati tra i monti rimane immutato. Già da ragazzino aiutavo gli zii e i racconti dei più vecchi narravano di una vita di miseria e di fame, dove il sacrificio quotidiano era il companatico ad un poco di polenta. La scelta obbligata dell’alpeggio era per molti ragazzi la strada che i genitori trovavano per diminuire le bocche da sfamare giù nei paesi, anche solo per qualche mese. Poi sono venuti i tempi moderni (anni ’70) dove al “bitchoulé” (il pastorello) veniva finalmente riconosciuto, anche economicamente, il suo fondamentale ruolo nella scala gerarchica dell’alpeggio. Oggi siamo arrivati ad avere un poco in più di confort ma la vita quassù rimane molto dura, i tempi si dilatano e noi ci adattiamo ai tempi della natura, qui sono le mucche che impostano la giornata, ecco questo in sintesi è l’alpeggio.
Vita d’alpeggio dunque, come è scandita la tua giornata?
Diciamo che è una continuazione di quanto faccio abitualmente a casa (a Pollein) seppur con il doppio dei capi da accudire. Dopo la mungitura (elettrica o manuale) nel cuore della notte, verso le 6.30 del mattino, inizio il lavoro del casaro, il latte viene portato nella caldaia e riscaldato, viene aggiunto il caglio, quindi viene rotta la cagliata e in 3 ore chiudo il tutto. Ad ogni pasto vengono prodotte 7 forme di formaggio, quindi 14 al giorno. Tutto questo viene ripetuto nel tardo pomeriggio, dalle 18.30 alle 21.30; 8 ore al giorno dedicate esclusivamente alla caldaia e alle forme. L’intero processo è un meccanismo che per funzionare bene deve avere tutti gli ingranaggi a posto, partendo dalla stalla dove la mucca deve poter riposare in tranquillità, al trasferimento verso il pascolo, mai di corsa, per non affaticare l’animale, all’erba in quantità e qualità adeguata, per chiudere con una mungitura rispettosa dell’animale. Così facendo il latte che ne deriverà sarà di ottima qualità e, con le dovute attenzioni, il risultato finale sarà un formaggio di elevate caratteristiche organolettiche. Come già detto qui si segue il ritmo della natura e delle mucche, la fretta non porta da nessuna parte.
Perché usi il termine pasto?
E’ per fare capire meglio, in realtà in patois si dice “soïe”, e identifica la porzione di terreno sufficiente a garantire il foraggio a pasto di ogni mucca. Sembra banale ma quando si vede una mandria al pascolo pochi capiscono cosa ci sia oltre quel filo che delimita il terreno; ogni centimetro di prato viene diviso equamente tra tutte le bovine e compito del bergìi (il pastore) è proprio quello di saper dividere le parcelle necessarie a garantire il foraggio e di conseguenza il latte che ne deriverà da ogni capo, possibilmente durante tutta stagione dell’alpe.
L’alpeggio quindi è davvero una piccola officina di cui tu sei l’imprenditore?
Il montagnard dal momento in cui arriva all’alpe ne diventa il custode e il manutentore. Nei mesi invernali la neve e le valanghe possono cambiare l’aspetto di alcune zone e per questo poco prima dell’Inarpa (la salita delle mandrie in alpeggio) occorre rimboccarsi le maniche: spostare pietre, tronchi e arbusti abbattuti, rifare tratti di rus (ruscelli) dove poter concimare. La vita d’alpeggio è così, ogni estate bisogna verificare se e cosa è cambiato nel territorio e meno difficoltà ci saranno per il pascolo maggiori soddisfazioni ci saranno nella caldaia. La gestione dell’alpeggio è molto delicata, nei vari caseifici posso dire che siamo sulla buona strada, in alpeggio invece abbiamo ancora molto da lavorare, il benessere animale è alla base di ogni buon risultato, la passione e l’amore per questa fatica da soli non bastano. Importante far conoscere quello che è un alpeggio, in tutte le sue sfaccettature, Alpages Ouverts sicuramente è una piccola finestra su questo mondo utile a tutti (anche a chi non mangia formaggio, beve latte o mangia carne).
Tanti sacrifici ma alla fine vincere un premio come Fontina d’Alpeggio regina 2013 fa dimenticare le fatiche di tutti i giorni?
Diciamo che la soddisfazione è stata di tutta la famiglia, vincere poi su un lotto di fontine importanti ha fatto molto piacere. Siamo partiti nel 1987 rilevando questo alpeggio della consorteria di Vens con 60 mucche e la montagna, soprattutto l’alpe più in alto a 2100 metri, era molto messa male, piano piano negli anni abbiamo sistemato il territorio aumentando i capi sino a 100 nel 1995. Oggi siamo scesi a 84 capi e nel mese in cui le mucche rimangono nell’alpeggio più alto (metà luglio-metà agosto), l’erba cambia moltissimo anche a causa dei boschi di conifere e quindi il casaro, qui come altrove, deve adattarsi a saper lavorare un latte diverso. Ogni momento nella preparazione ha la sua importanza, la rottura della cagliata ad esempio deve essere fatta al momento giusto, nè troppo tenera nè troppo dura; un lavoro enorme che solo tre mesi dopo potrà dare i suoi frutti con il riconoscimento della marchiatura a FONTINA DOP da parte del Consorzio Produttori Fontina.
(autore: Stefano Carletto – foto: Enrico Romanzi)
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